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Wang Xiang Zhai |
C'è uno stile – uno degli ultimi nati – che i maestri più tradizionali vedono come fumo negli occhi. Tuttavia, siccome è comprovato che l'Yi quan qualche risultato l'ha ottenuto – e non nel campo teorico, ma in quello molto più concreto del combattimento libero – val la pena capirne un po' di più, a costo di sbattere contro un metodo che considera tutti gli altri, su per giù, come vecchiume incartapecorito. Un Bruce Lee d'antan, insomma: come il celebre attore, ma con una ventina d'anni di anticipo, anche il caposcuola dell'Y quan, infatti, sfidò il sistema formalizzato degli stili tradizionali.
Il fondatore
Per farlo, si deve ovviamente partire
dal suo fondatore. Piccolo inciso: in Cina ci sono tanti stili quanti
maestri, ognuno s'è fatto il suo e ogni sei mesi se ne scopre uno
fino a quel momento ignoto in Occidente. Se si vuol praticare wu shu
tradizionale tocca farci l'abitudine.
Bene, dicevamo dell'Yi quan e del suo
fondatore. Il suo nome è Wang Xiang Zhai (王薌齋)
ed è un maestro vissuto recentemente, per i canoni del kung fu
tradizionale. Nacque nel 1885 e morì nel 1963: praticamente un
contemporaneo. Notare questo particolare è importante per capire il
suo metodo e le basi da cui deriva.
Per farla breve, Wang fu discepolo di
Guo Yun Shen, famoso maestro di Xing yi quan (pugilato della forma e
dell'intenzione) che è uno stile abbastanza particolare, nel
panorama cinese: ha un programma molto ridotto e pochissime forme
prestabilite. Una delle sue correnti più praticate, per esempio, si
compone di un esercizio di base – i pugni dei cinque elementi – e
di uno più avanzato, la sequenza dei dodici animali. Un qualche
esercizio in coppia e finita lì. Confrontato con le settanta o
ottanta forme di certi stili, fa la figura del sillabario verso
l'enciclopedia Treccani. D'altra parte, per imparare a scrivere basta
il sillabario e questo sarà per l'appunto il concetto di base del
successivo Yi quan.
Il periodo errante
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Gou Yun Shen |
Tra i tanti personaggi incontrati,
riportano le biografie, uno è particolarmente importante: è il
maestro Xie Tie Fu, anch'egli praticante di Xin yi quan. Wang lo
ricorda come sua guida, assieme al primo maestro (Gou Yun Shen).
Fatto sta che siamo ormai alla metà degli anni venti e Wang va verso
i quaranta. Che era, ai tempi, l'età in cui un maestro o diventa
tale o resta in secondo piano. Chiaramente, a Wang toccherà in sorte
la prima opzione. Secondo le cronache, nel 1926 inizia a sviluppare
un proprio metodo, delle sue molte esperienze. Lo chiamerà
semplicemente Yi quan, ovvero pugilato dell'intenzione. Togliendo,
quindi, la parola “forma” (xing) al nome Xing yi quan.
Il nuovo metodo
Prima di concentrarci su questo nuovo
stile e di capire se davvero se ne sentiva la mancanza, dal momento
che di stili ce n'erano già a centinaia, accompagnamo il maestro
Wang ancora per un tratto. Dalla metà degli anni Venti alla fine
degli anni Trenta, vive tra Shangai, Shenxian e Pechino, fondando
scuole e insegnando il suo metodo. Non mancano le sfide – altro
classico di ogni caposcuola – con campioni di altri stili o altre discipline, come pugilato e judo,
ovviamente sconfitti senza appello.
Siamo alla fine degli anni Trenta ed è
questo, probabilmente, un momento chiave dell'esperienza marziale di
Wang. Ormai maturo e sicuro del suo metodo, il maestro concede una
serie di interviste a due quotidiani di Pechino, Shibao (實報)
e Xinminbao (新民報):
racchiudono il succo della sua esperienza pugilistica e di vita e
assieme suonano come un sonoro schiaffo a tutto il panorama marziale
dell'epoca. In buona sostanza, il maestro Wang dice, senza troppo
girarci attorno (per i canoni cinesi del 1930) che il wu shu
tradizionale è corrotto, snaturato, sostanzialmente inutile e che
andrebbe buttato alle ortiche e ricostruito di sana pianta. Il che è
proprio ciò che ha cercato di fare con il suo Yiquan. Al tempo
stesso, Wang invita tutti i maestri cinesi a confrontarsi con lui per
conoscere e discutere il suo metodo; non è una sfida urbi et orbi,
ma poco ci manca. Non era un mediatore, Wang; tanto che in vecchiaia
fu soprannominato Maodun Laoren (矛盾老人),
che significa, in sostanza, vecchio bastian contrario.
Gli ultimi anni
Dopo quella serie di interviste – che
come si può immaginare fecero un certo rumore – il maestro Wang
scrive un libro che è anche il suo testamento marziale e assieme il
testo fondamentale dell'Yi quan. Stile che, nel frattempo, assume
anche un secondo nome: Dachengquan (大成拳),
ovvero, più o meno, “pugilato grande e completo” o anche
“pugilato della grande realizzazione”. Il termine, un po'
pomposo, è coniato da alcuni allievi di Wang, ma sarà usato con
riluttanza dal sifu.
Dopo la rivoluzione culturale, Wang
Xiang Zhai ridimensiona progressivamente l'aspetto marziale della sua
disciplina enfatizzandone invece la componente terapeutica: non erano
anni in cui si potesse troppo scherzare, sulla tradizione. Continuerà
così fino alla sua morte, avvenuta nel 1963 a Tianjin.
O. R.
1 – continua
(nella prossima parte,
le interviste del maestro Wang)
Fonti
Praticamente una proposta di sceneggiatura...
RispondiEliminaJohn Woo, Zhang Yimou, Ang Lee, Wong Kar-wai e affini: siete avvisati!
GB
ahahah! concordo con GB e aspetto il seguito! il maestro Wang, con il fascino del personaggio fuori dal coro, si è già conquistato le mie simpatie!
RispondiElimina