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Wang Xiang Zhai |
Nella scorsa puntata abbiamo riassunto,
in sintesi, la vita di Wang Xiang Zhai, il fondatore dell'Yi quan.
Diversamente dagli stili più antichi, che si perdono tra leggenda e
biografie tramandate oralmente, per il Dachengquan (l'altro nome con
cui è conosciuto questo metodo), abbiamo la fortuna di avere una
notevole quantità di informazioni dirette, essendo il suo fondatore
vissuto fino al 1963. Molte le interviste e i libri dati alle stampe
sotto la sua supervisione, nei quali si spiega come e perché sia
arrivato a sintetizzare un nuovo sistema di combattimento, per molti
aspetti in contrasto con quelli tradizionali.
All'interno di questo materiale
documentaristico, le interviste rilasciate alla fine degli anni
Trenta alle testate Shibao (實報)
e Xinminbao (新民報)
hanno un ruolo speciale, perché per la prima volta il maestro spiega
non soltanto alcuni principi della sua arte, ma esprime anche un
giudizio molto accurato – e aggiungiamo spietato – sul panorama
marziale cinese dell'epoca. Non a caso, come abbiamo scritto nella
puntata precedente, gli articoli fecero molto rumore nel mondo del
wushu, spingendo diversi maestri di stili tradizionali a
confrontarsi, quantomeno a parole, con Wang. Questi testi sono ancora
disponibili e negli ultimi anni sono stati anche tradotti nella
nostra lingua. Pur ripetendosi in alcuni passaggi – naturale,
trattandosi di più interviste distinte – sono di grande interesse
per tutti gli appassionati di kung fu tradizionale, se non altro come
spunto per una riflessione personale sul metodo e la didattica del
proprio stile. Wang, come noto, contesta il wushu dell'epoca,
sostenendo in pratica che si fosse persa (già allora, figuriamoci
oggi) la natura delle vere arti marziali. Il suo giudizio, peraltro,
non è generico, ma specifico: Wang scende nel particolare dei
diversi stili per valutarne i pregi (pochi, a suo dire) e i (molti)
difetti.
Per questo motivo, al termine di questa serie di articoli troverete un link da cui scaricare il pdf della traduzione
italiana delle celebri interviste. Ringraziamo, al riguardo, il
Centro ricerche discipline taoiste L'airone (seguite il link per saperne di più) che ci ha autorizzato a usare il materiale.
Il pensiero di Wang
Tuttavia, siccome il documento conta
una decina di pagine, scritte fitte e pure in caratteri piccoli,
abbiamo pensato di riportare, di seguito, alcuni dei passaggi più
significativi, a beneficio di chi non abbia voglia di leggersi il
testo per intero ma sia comunque interessato a ciò che contiene (e
tutti gli appassionati di wushu tradizionale dovrebbero esserlo, a
ben vedere...). Si tratta degli aspetti fondamentali dell'intervista
secondo la nostra interpretazione; se non siete convinti di essa, non
vi resta che attendere la prossima puntata e poi scaricare l'intero pdf.
Cominciamo con l'analisi
dell'esistente: ai tempi di Wang, ovviamente, ma tante delle sue
affermazioni, come si vedrà, potrebbero essere trasportate
direttamente ai giorni nostri ed estese ben oltre la Cina...
Il decadimento marziale
Uno degli aspetti su cui Wang spende le
parole più dure, nelle sue interviste pechinesi, è il livello di
preparazione dei combattenti dell'epoca. Siamo, ricordiamolo, nel
1940, epoca in cui le arti marziali tradizionali non erano più, da
tempo, uno strumento di sopravvivenza.
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I boxer, nella rivolta omonima |
“Spero che tutti i praticanti siano
in primo luogo praticanti sani – dice Wang – e non imbonitori che
vagano di città in città per ingannare con trucchi e bugie.
Purtroppo oggigiorno nemmeno un pugile su cento ha qualcosa di
corretto nella sua formazione; anzi sinceramente penso che molti
sbaglino proprio tutto, completamente. So che molti vivono
di quello
che insegnano, ma non dovrebbero vergognarsi di continuare ad
apprendere da altri dopo aver intrapreso l’insegnamento (…).
I pugili non sanno bene dove sia in
realtà il vero spirito della boxe; (…) molti sono gli insegnanti
che sono lontani dalla verità
così come il paradiso lo è dalle
profondità dell’oceano”.
Wang critica anche l'abitudine, molto
radicata nel tempo, a studiare minuziosamente genealogie e storia del
wushu: “La conoscenza o meno della storia della boxe è un fatto
irrilevante; quello che conta è verificare se un metodo risponde
alle
numerose necessità del vivere”. E poco più avanti
ribadisce: “Durante gli ultimo vent’
anni ho visto fiorire
moltissime palestre con la pretesa di allevare le arti marziali,
maggiore è la pretesa più grande il fallimento (…). La scienza
del combattimento è allo sbando”. In diversi momenti, Wang
ribadisce inoltre che insegnare il pugilato (ovvero le arti marziali)
per molti maestri è la sola fonte di sostentamento e dunque essi
sono verosimilmente più attaccati al denaro che al desiderio di
conoscere la vera arte della boxe.
La critica agli stili
Già 75 anni fa il panorama marziale
cinese era bene o male quello di oggi, nel senso che tutti gli stili
tradizionali erano già strutturati e insegnati. Rispetto a essi,
Wang Xiang Zhai non è meno duro che con chi li insegna: in buona
sostanza li fa a pezzi, uno dopo l'altro, salvandone pochissimi. E,
anche questi ultimi, soltanto in alcuni aspetti. Non riportiamo tutto
il suo pensiero al riguardo, ma soltanto ciò che dice a proposito
dei due stili praticati nella nostra scuola, il Meihuaquan e il
Taijiquan.
Wang, da esperto di stili interni
(aveva iniziato praticando lo Hsin Yi quan) è particolarmente severo
con il Taiji: “Originariamente questa boxe consisteva di soli tre
pugni
chiamati anche "i vecchi tre tagli". Mr Wang Zongyue
cambiò il metodo in "tredici posizioni" e successivamente
divenne lo stile delle
cento quaranta o cento cinquanta posture, da
qui un'ovvia distorsione del metodo.
Per la parte terapeutica è solo un
modo di reprimere la mente e lo spirito con il solo risultato di
portare sconforto al praticante. Per il
combattimento (...) si
riduce in una dannosa perdita di tempo. Riguardo al metodo di pratica
un colpo con un pugno lì, e una sberla
con il palmo là, un calcio
a sinistra e un altro a destra, è solo miserabili e ridicolo. Di
fronte a un combattente con esperienza o un
nemico veramente
motivato non prendete nemmeno in considerazione queste pratiche,
perché, salvo che il vostro avversario non sia
stupido e rigido, in
un confronto reale anche i più grandi esponenti di questa arte
soccomberebbero sicuramente (...). Questi abusi sono talmente diffusi
che presto il taijiquan diventerà solo un arido manuale di scacchi”.
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Chen Xin, criticato da Wang |
Nella successiva intervista, il
fondatore dell'Yi quan torna sull'argomento Taiji: “Ricordo uno
scritto di Zhang Sanfeng che affermava: "abbandonare
completamente il proprio corpo è sbagliato, ma ugualmente sbagliato
è fissare (concentrarsi/bloccarsi) troppo il proprio corpo.
Taijiquan ha forme composte da cento quaranta o centocinquanta
posture , non sono forse tutte collegate a precisi e definiti
allineamenti
corporei che necessitano grande concentrazione, e poi a
che cosa servono? Lo spirito deve essere sempre attento a come si
muove il corpo
e quindi di certo non può essere libero”.
La parte di intervista dedicata al
Meihuaquan è molto più ridotta e, in realtà, anche meno negativa:
“Il Meihuaquan, anche conosciuto come wushizhuang, ha una linea
diretta che è stata trasmessa da generazione a generazione, in
particolare nelle province dell'Henan e dello Sichuan. Il loro metodo
è diverso nell'approccio , ma ugualmente soddisfacente nei
risultati
di quello dei praticanti di wujisanshou di Fuzhou,
Xinghua, Quanzhou, Shantou, e altri luoghi. Hanno i loro punti di
forza nel confronto
con un nemico, purtroppo molti di loro sono
unilaterali e solo alcuni veramente completi”.
In generale, Wang contesta tutto il
metodo di studio degli stili tradizionali, basato sulla ripetizione
di forme prestabilite, quasi sempre in esecuzioni individuali:
“Coloro che si allenano
seguendo gli scritti altro non sono che
ciechi condotti da ciechi. Infatti praticando secondo le indicazioni
di un libro si possono cogliere le
cristallizzazioni di tutte le
possibili teorie senza prestare attenzione alla posture e
all'intenzione formale”. Più avanti ribadisce: “Se un praticante
sempre si intestardisce nell'apprendere movimenti e sequenze
meccaniche, si allena con un compagno o rotea la lancia
alla ricerca di bellezza e armonia,
pensando che ciò rappresenti l'eccellenza nell'arte del
combattimento... (…) Questo è veramente terribile, un' intera
vita
sprecata per non comprendere assolutamente nulla”.
Secondo Wang, la scienza del
combattimento è una sola, a prescindere dalle scuole: “La teoria
della boxe non deve presentare
distinzioni tra cinese e non cinese,
tra nuovo e vecchio. L'unica cosa importante è la verifica sulla
applicabilità o meno, sulla giustezza o
meno degli insegnamenti”.
La sfida
La verifica pratica delle teorie è un
caposaldo, per Wang Xiang Zhai. Tanto è vero che invita in più
occasioni i maestri contemporanei a metterlo alla prova, non soltanto
sul piano teorico: “Nonostante il combattimento sia solo un
aspetto limitato, purtroppo senza di esso i risultati non possono
essere verificati, per questo sono pronto a cimentarmi in un
amichevole
scontro di combattimento”.
In precedenza, Wang era stato anche più
chiaro: “Non vedo l’ ora di confrontarmi amichevolmente in
combattimento con questi individui, e
anche nel caso non
risultassero in grado di combattere non verranno accolti da insulti e
non divulgherò la loro reale condizione per non
danneggiare i loro
affari. Addirittura andrò io personalmente a fare visita a tutti
coloro che non possono muoversi e porgerò loro rispetto
per
verificare i loro insegnamenti. Farò pubblicità a tutti coloro che
avranno anche un bagliore di verità nel loro insegnamento, e se non
ci saranno punti forti comunque non sparlerò di loro, tacerò”. In
altre parti dell'intervista, il maestro dice apertamente che
pochissimi si sono presentati per questo “confronto” e che
qualcuno che lo ha fatto “ora conosce la realtà della sua
preparazione marziale”.
O. R.
2 – Continua
(nella prossima puntata,
il metodo Wang)
Questa "storia" mi sta intrigando sempre di più!! Non vedo l'ora di leggere la prossima puntata
RispondiEliminaConcordo! Ora attendiamo il film.. o almeno il trailer, poi il resto proveremo a svilupparlo in pratica, come vorrebbe Wang! GB
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