sabato 12 aprile 2014

Yi quan, il grande pugilato (parte 1)

Wang Xiang Zhai

C'è uno stile – uno degli ultimi nati – che i maestri più tradizionali vedono come fumo negli occhi. Tuttavia, siccome è comprovato che l'Yi quan qualche risultato l'ha ottenuto – e non nel campo teorico, ma in quello molto più concreto del combattimento libero – val la pena capirne un po' di più, a costo di sbattere contro un metodo che considera tutti gli altri, su per giù, come vecchiume incartapecorito. Un Bruce Lee d'antan, insomma: come il celebre attore, ma con una ventina d'anni di anticipo, anche il caposcuola dell'Y quan, infatti, sfidò il sistema formalizzato degli stili tradizionali.
Predisponiamoci quindi con animo sereno e aperto e cerchiamo di capire cosa sia la “boxe dell'intenzione”.

Il fondatore
Per farlo, si deve ovviamente partire dal suo fondatore. Piccolo inciso: in Cina ci sono tanti stili quanti maestri, ognuno s'è fatto il suo e ogni sei mesi se ne scopre uno fino a quel momento ignoto in Occidente. Se si vuol praticare wu shu tradizionale tocca farci l'abitudine.
Bene, dicevamo dell'Yi quan e del suo fondatore. Il suo nome è Wang Xiang Zhai (王薌齋) ed è un maestro vissuto recentemente, per i canoni del kung fu tradizionale. Nacque nel 1885 e morì nel 1963: praticamente un contemporaneo. Notare questo particolare è importante per capire il suo metodo e le basi da cui deriva.
Per farla breve, Wang fu discepolo di Guo Yun Shen, famoso maestro di Xing yi quan (pugilato della forma e dell'intenzione) che è uno stile abbastanza particolare, nel panorama cinese: ha un programma molto ridotto e pochissime forme prestabilite. Una delle sue correnti più praticate, per esempio, si compone di un esercizio di base – i pugni dei cinque elementi – e di uno più avanzato, la sequenza dei dodici animali. Un qualche esercizio in coppia e finita lì. Confrontato con le settanta o ottanta forme di certi stili, fa la figura del sillabario verso l'enciclopedia Treccani. D'altra parte, per imparare a scrivere basta il sillabario e questo sarà per l'appunto il concetto di base del successivo Yi quan.

Il periodo errante
Gou Yun Shen
Torniamo al nostro Wang, che dunque pratica a lungo uno stile già assai particolare, nel barocco mondo del wu shu. Alla morte del maestro Guo (qualcuno scrive invece che fu per entrare nell'esercito) Wang si trasferisce a Pechino e inizia a insegnare. Pochi anni dopo si mette in cerca di un nuovo maestro, gira la Cina, si confronta con questo e con quello... insomma, il solito periodo errante di maturazione interiore che bene o male troviamo in tutti i grandi maestri. C'è chi lo fa in cima a una montagna, chi si ritira in una foresta dopo averne prese un sacco, chi se ne va in giro per la Cina come un mendicante... Per diventare fenomeni pare proprio che si debba passare da una fase di faticosa ricerca e rielaborazione personale. Del resto, ha senso.
Tra i tanti personaggi incontrati, riportano le biografie, uno è particolarmente importante: è il maestro Xie Tie Fu, anch'egli praticante di Xin yi quan. Wang lo ricorda come sua guida, assieme al primo maestro (Gou Yun Shen). Fatto sta che siamo ormai alla metà degli anni venti e Wang va verso i quaranta. Che era, ai tempi, l'età in cui un maestro o diventa tale o resta in secondo piano. Chiaramente, a Wang toccherà in sorte la prima opzione. Secondo le cronache, nel 1926 inizia a sviluppare un proprio metodo, delle sue molte esperienze. Lo chiamerà semplicemente Yi quan, ovvero pugilato dell'intenzione. Togliendo, quindi, la parola “forma” (xing) al nome Xing yi quan.

Il nuovo metodo
Prima di concentrarci su questo nuovo stile e di capire se davvero se ne sentiva la mancanza, dal momento che di stili ce n'erano già a centinaia, accompagnamo il maestro Wang ancora per un tratto. Dalla metà degli anni Venti alla fine degli anni Trenta, vive tra Shangai, Shenxian e Pechino, fondando scuole e insegnando il suo metodo. Non mancano le sfide – altro classico di ogni caposcuola – con  campioni di altri stili o altre discipline, come pugilato e judo, ovviamente sconfitti senza appello.
Siamo alla fine degli anni Trenta ed è questo, probabilmente, un momento chiave dell'esperienza marziale di Wang. Ormai maturo e sicuro del suo metodo, il maestro concede una serie di interviste a due quotidiani di Pechino, Shibao (實報) e Xinminbao (新民報): racchiudono il succo della sua esperienza pugilistica e di vita e assieme suonano come un sonoro schiaffo a tutto il panorama marziale dell'epoca. In buona sostanza, il maestro Wang dice, senza troppo girarci attorno (per i canoni cinesi del 1930) che il wu shu tradizionale è corrotto, snaturato, sostanzialmente inutile e che andrebbe buttato alle ortiche e ricostruito di sana pianta. Il che è proprio ciò che ha cercato di fare con il suo Yiquan. Al tempo stesso, Wang invita tutti i maestri cinesi a confrontarsi con lui per conoscere e discutere il suo metodo; non è una sfida urbi et orbi, ma poco ci manca. Non era un mediatore, Wang; tanto che in vecchiaia fu soprannominato Maodun Laoren (矛盾老人), che significa, in sostanza, vecchio bastian contrario.

Gli ultimi anni
Dopo quella serie di interviste – che come si può immaginare fecero un certo rumore – il maestro Wang scrive un libro che è anche il suo testamento marziale e assieme il testo fondamentale dell'Yi quan. Stile che, nel frattempo, assume anche un secondo nome: Dachengquan (大成拳), ovvero, più o meno, “pugilato grande e completo” o anche “pugilato della grande realizzazione”. Il termine, un po' pomposo, è coniato da alcuni allievi di Wang, ma sarà usato con riluttanza dal sifu.
Dopo la rivoluzione culturale, Wang Xiang Zhai ridimensiona progressivamente l'aspetto marziale della sua disciplina enfatizzandone invece la componente terapeutica: non erano anni in cui si potesse troppo scherzare, sulla tradizione. Continuerà così fino alla sua morte, avvenuta nel 1963 a Tianjin. 

O. R.

1 – continua
(nella prossima parte, le interviste del maestro Wang)

Fonti
 


2 commenti:

  1. Praticamente una proposta di sceneggiatura...
    John Woo, Zhang Yimou, Ang Lee, Wong Kar-wai e affini: siete avvisati!
    GB

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  2. ahahah! concordo con GB e aspetto il seguito! il maestro Wang, con il fascino del personaggio fuori dal coro, si è già conquistato le mie simpatie!

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