mercoledì 19 febbraio 2014

L'arte della guerra (e del rugby) da Sun Tzu agli All Blacks

Foto archivio Panzeri (Panzer)
Alta la tentazione di citare qualche passaggio della celeberrima opera di Sun Tzu “L'arte della guerra”, moltiplicata, negli ultimi anni, in riletture sui temi più diversi, dalla psicoterapia alle strategie manageriali.

Per non essere troppo banali, ci siamo orientati su qualcosa di apparentemente distante, che tuttavia presenta diverse similitudini con il kung fu, a partire da linguaggi e teorie ugualmente permeati dalla retorica della battaglia: il mondo del rugby.



D'altra parte l'argomento è d'attualità, visto che proprio in questi giorni si sta disputando il torneo “Six Nations”, un appuntamento tra i più avvincenti in ambito europeo.

Ecco quindi un brano del libro “L'arte del rugby”, del giornalista neozelandese Spiro Zavos, tratto da un articolo di Alan Close, apparso nella rubrica Good Weekend del “Sydney Morning Herald”:

«Forse se non avessimo lo sport faremmo la guerra anche più spesso. È una versione innocua - o, comunque, lo è relativamente - di qualcosa di più serio. Pare che sia scritta nelle viscere della nostra predisposizione genetica, anche se le frustrazioni esistono sin da quando esiste lo sport. Socrate, per esempio, subì la disapprovazione dell'antica Atene per non aver preso abbastanza sul serio l'addestramento oplite (armamenti e tattica)... Storie di essere umani che, come lo sport, sono false - innocue versioni esagerate di qualcosa di più reale e grave. Sembra essere la prova che abbiamo bisogno di certe distrazioni. Sono storie, momenti ricreativi - ludici - e tutti gli animali, non solo gli uomini, usano il gioco per sviluppare le capacità di sopravvivenza, per imparare a vivere».



Giovanna Baiguera





Bibliografia essenziale:
Spiro Zavos, “L'arte del rugby”, ed. Einaudi, 2007


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